Cosa spinge un adolescente a farsi del male? È un semplice tentativo di attirare l’attenzione o cela significati più profondi? Come dovrebbero reagire i genitori se scoprono che il proprio figlio si autoinfligge ferite e quali aspetti non devono trascurare?
Anna è seduta di fronte a me. Ha lo sguardo sfuggente, la testa bassa su sé stessa. Fa fatica a parlare perché sa che l’argomento che stiamo affrontando ha già fatto preoccupare mamma e papà. E ora come reagirà un altro adulto? La capirà o verrà giudicata di nuovo?
“Cosa ti ha portato a tagliarti?” “Non lo so. Ma sentivo troppo dolore dentro. E allora farmi del male mi distraeva un po’”.
Cosa porta un adolescente a decidere di ferirsi?
Anna in realtà non esiste. O meglio, non esiste una sola Anna ma è un po’ la rappresentazione dei tanti ragazzi con cui mi confronto nella quotidianità del mio studio e che hanno storie e vissuti spesso molto simili.
Per comprendere le ragioni che spingono un adolescente a farsi del male, è fondamentale definire chiaramente il concetto di autolesionismo.
Nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM V), viene descritta una serie di comportamenti autolesionistici che procurano dolore fisico. È fondamentale evidenziare che, nella maggior parte dei casi, tali azioni non indicano un’intenzionalità suicidaria. Tuttavia, soprattutto negli anni recenti, il rischio a lungo termine di tentativi di suicidio è notevolmente aumentato tra i giovani.
Quali sono le condotte di tipo autolesivo?
- CUTTING: ossia tagliarsi con un oggetto affilato;
- BURNING: provocarsi bruciature e ustioni;
- BRANDING: ossia marchiarsi con oggetti roventi.
Le condotte autolesive sono generalmente eseguite in una “singola sessione”, con la persona che si ferisce preferendo aree del corpo facilmente copribili. Questi comportamenti tendono a manifestarsi prevalentemente tra la prima adolescenza e l’inizio dell’età adulta.
Quali sono i motivi che spingono un ragazzo a farsi del male?
Non esiste una spiegazione univoca per cui un adolescente scelga di ferirsi. Sebbene agli occhi di un genitore un simile gesto possa sembrare il fulcro del problema da affrontare e risolvere, la ferita fisica rappresenta solo l’epilogo di un percorso che richiede l’esplorazione di motivazioni più profonde.
L’intenzionalità è fondamentale. Bisogna partire dal cercare di capire che cosa la persona cerca di ottenere con quel gesto.
Ciò che spesso si osserva è la difficoltà di questi ragazzi nella gestione e contenimento delle emozioni. Spesso quando si parla con loro, si percepisce una carica emotiva che loro stessi hanno difficoltà a capire e contenere.
In molti casi, dietro un gesto così forte, c’è un vissuto di profonda sofferenza e il dolore fisico risulta essere la scelta più funzionale per alleviare quello emotivo.
Cosa fare?
Scoprire che il proprio figlio si fa del male è un’esperienza estremamente dolorosa per un genitore. Spesso, la preoccupazione spinge a intraprendere azioni che non sempre sono efficaci nel risolvere il problema. Si passa dall’arrabbiarsi con il ragazzo, al vietargli l’uso di telefono e social media, fino alla sorveglianza costante.
Cosa può essere utile?
È importante mettersi in gioco senza auto-colpevolizzarsi. Non si dovrebbe giudicare la propria capacità genitoriale per non essersi resi conto della situazione vissuta dal proprio figlio. L’adolescenza è un periodo critico e può essere davvero difficile cogliere tutti i segnali che un figlio invia.
Tuttavia, è anche necessario evitare la ricerca di un “capro espiatorio” esterno. Negli ultimo anni, c’è stata una crescente ricerca di motivi esterni per poter spiegare i comportamenti autolesivi dei nostri ragazzi. Si dà la colpa ai social, alle sfide sul web o a improbabili manipolatori che influenzerebbero la mente, già vulnerabile, dei nostri adolescenti. I ragazzi, in realtà, non hanno cominciato a farsi male con l’avvento di internet. Avevano cominciato molto prima, ma erano gli adulti a non essersene accorti.
Un genitore deve impegnarsi attivamente, riconoscendo che alcune dinamiche familiari potrebbero non aver funzionato. Anziché agire, dovrebbe fermarsi e ascoltare. Osservare attentamente ciò che accade al proprio figlio e mostrarsi aperto al dialogo.
Se risulta complicato, non esitate a chiedere supporto esterno.
Dott.ssa Francesca Vecchione